Normandia, Irlanda, Cornovaglia

E

(Un viaggio malandato in Spagna)


Premessa (il viaggio maledetto)

Questa vicenda inizia prima del viaggio in Irlanda, quando, dopo ferragosto del duemila-ventidue, non sapevamo cosa fare e così ci è venuta l’idea di partire per la Spagna con il furgone già reduce dal grande viaggio invernale a Capo Nord.

Sembrava una vacanza come tante altre, però avrei dovuto immaginare quando, salendo la ripida autostrada del traforo del Frejus, il motore sbuffava stanco.

Nei pressi di Périgueux ci fermiamo a fare benzina, ed è qui che iniziano le nostre tribolazioni.

Il furgone non va in moto, aspettiamo, proviamo e riproviamo a farlo ripartire, purtroppo non c’è niente da fare si è piantato a Périgueux.

Passano un paio d’ore e arriva il trasportatore con il carro attrezzi, che ci carica e poi ci abbandona in un deposito auto pretendendo l’immediato pagamento in contanti.

Affrontiamo la situazione con calma prenotiamo l’albergo e poi andiamo a cena.

La mattina del giorno dopo contattiamo tutti i meccanici della zona compresa la concessionaria Volkswagen, ma non c’è nulla da fare le officine francesi non voglio aver a che fare con il nostro vecchio VW Westfalia.

Restiamo seduti nella piccola casa viaggiante in questo deprimente deposito auto e qualcosa dovremmo decidere, ma l’idea di abbandonare qui il mezzo e tornare a casa in aereo ci fa sentire dei traditori del nostro furgone, che ci ha trasportati e riparati nell’avventuroso viaggio invernale a Capo Nord.

Non avendo idee geniali, che ci salvino da questo esilio in Francia, l’unica cosa che mi viene in mente è di aprire il vano motore e di guardare qua e là senza convinzione, poi, tanto per fare qualcosa, giro la chiave dell’accensione, e meraviglia, si mette in moto. Forse avremmo dovuto ritornare verso l’Italia, ma la Spagna era vicina, così, illudendoci che i meccanici spagnoli fossero più disponibili, riprendiamo il viaggio.

Le cose però non vanno come avevamo sperato, ed è così che nei pressi di San Sebastian il motore comincia scoppiettare, poi perde giri e all’improvviso riprende, costringendomi a una guida folle nel traffico della città.

Al primo campeggio che troviamo parcheggiamo, ed è proprio qui che il motore esala il suo ultimo respiro.  Ci risiamo, ricomincia la ricerca di meccanici spagnoli, che non ne vogliono saperne almeno fino a settembre inoltrato, poi, nel cruscotto del furgone trovo un biglietto da vista, che per scaramanzia, ci aveva lasciato il conducente di un carroattrezzi italiano, era l’ultima speranza e ci è andata bene, il soccorso stradale ci promette che in un paio di giorni sarebbe arrivato per trasportarci fino a casa ed anche l’assicurazione s’impegna a rifonderci tutte le spese.

Un paio di giorni per visitare San Sebastian e Hondaribaia, fin quando sabato, alle quattro della notte, l’arrivo dell’autogru ci sveglia di soprassalto e il suo autista, un tipo piccoletto e rotondo, con dei lunghi capelli scuri raccolti in una treccia, si mette subito al lavoro caricando il nostro esausto furgone sul suo autocarro, ma la situazione si fa tragicomica, quando il motore del carroattrezzi si spegne e non vuol saperne di rimettersi in moto. Nel buio pesto della notte guardo attonito la situazione, cercando di trattenere una risata, mentre m’immagino l’arrivo di un altro camion, che, come una matriosca, carica entrambi. La strada ha una leggera pendenza e l’idea è quella di tentare la messa in moto a spinta, così io salgo in cabina, innesto la terza marcia, mentre il conducente, il guardiano del campeggio ed altri due mattinieri campeggiatori spingono, aspetto di prende velocità, poi lascio la frizione premendo l’acceleratore, il camion sobbalza e si scuote mettendosi in moto. Al grido si parte l’autista salta in cabina e io e Rossana ci sistemiamo nel furgone. Un viaggio di ritorno terribile, due giorni senza soste, ondeggiando sul pianale del  carroattrezzi e tenendo d’occhio il pilota perchè non s’addormentasse

L’arrivo a casa è stato una benedizione, una fortuna, la fine di un incubo, finalmente a casa, ma non ci arrendiamo, serve un nuovo motore e un nuovo impianto elettrico, perché ad aprile del prossimo anno vogliamo partire per l’Irlanda.          


Si va 


Il rosso Van-glorioso, ha il motore nuovo e molti altri lavori, che fanno di lui una affidabile casetta viaggiante.

È il momento giusto per partire!

Forse a qualcuno riesce d’infilarsi le scarpe e partire, ma a noi manca sempre qualcosa all’ultimo momento:

“Aspetta devo ancora caricare l’acqua! hai trovato la borsa nera e la mia giacca da pioggia dov’è?”

Così alle undici del mattino siamo in viaggio verso il traforo del Monte Bianco ed è tutto a posto mentre la nostra piccola casa viaggiante attraversa l’Italia da est a ovest.

All’imbrunire ci fermiamo in una piazzola riservata ai camper nei pressi di Prè Saint Didier.

16 aprile

La mattina una misteriosa sparizione della ricevuta di pagamento ci costringe a una richiesta di aiuto per farci aprire la sbarra all’uscita, poi ci aspetta una lunga giornata di viaggio con l’intento di raggiungere Cherbourg.

Alle sette di sera mancano duecentocinquanta chilometri e siamo stanchi ed affamati, per cui cerchiamo un campeggio in zona di Rouen, ma a quest’ora sono tutti chiusi e in Francia non si può campeggiare liberamente. Percorrendo un viottolo che costeggia la Senna, continuiamo la ricerca di un posto dove fermarci per la notte quando scorgiamo un cartello scolorito, che indica la strada per un campeggio.

Il campeggio c’è, ed è proprio sulla Senna, ma il portone d’accesso è chiuso e, attaccato ad un palo, c’è un foglio con un numero di telefono, proviamo a chiamare, ci risponde una signora: “Bonsoir de quoi as tu besoin?”, con il mio scarso francese spiego che siamo davanti all’entrata del campeggio e che il portone è chiuso, la risposta è immediata: “Non, la port n’est pas fermé”, basta spostare il lucchetto sempre aperto, poi tirare il catenaccio e con forza spingere la porta.

Per questa notte siamo sistemati.

17 aprile

Arriviamo al porto di Cherbourg verso le tredici e scopriamo, che fino a mercoledì diciannove aprile alle ore diciannove non ci saranno traghetti per l’Irlanda. Acquistiamo comunque i biglietti e in questi due giorni in Normandia decidiamo, di visitare Mont Saint Michel.

Nei pressi di Barneville troviamo un campeggio aperto posto tra boschi di pini marittimi e pascoli dove brucano lentamente, capre e pecore. Dopo aver preso possesso della nostra piazzola preparo il drone per fare una ripresa aerea della zona. Il piccolo velivolo s’alza in volo ronzando e in un attimo sparisce dalla vista, lo seguo guardando sul telefono cellulare le immagini che da lassù m’invia, poi mi avvisa che all’altezza in cui sta volando c’è troppo vento, per cui diminuisco la quota di volo, ma il piccolo aggeggio chiede ancora aiuto, perché ha consumato troppe energie e vuole atterrare subito; inizia così un assurdo colloquio tra me e il drone.

Io: “No, non atterrare sei troppo lontano, avvicinati in modo che possa vederti” e forzo il comando di volo;

Drone:Pericolo, pericolo atterraggio di fortuna non possibile per ostacoli”

Io: “abbasso la quota, avvicinati

Drone “Energia esaurita atterraggio immediato”

Non riesco più a controllarlo.

Sullo schermo vedo immagini sfocate di un groviglio di rami, poi un filo d’erba e, il naso di una capra.

Con la funzione di ricerca del drone cerco di individuare il segnale che m’invia: “Bip, bip - Sono qui, mi sono perso, vieni a prendermi”.

Mi avvio a piedi seguendo le indicazioni della mappa sul cellulare e mi trovo a dover saltare siepi e steccati, attraversare cortili e recinti, fin quando il segnale avvisa che il drone è a un metro da me; allora sposto l’erba, e lo raccolgo con tenerezza, poi mi guardo attorno e mi rendo conto di essere nel recinto della capra che vedevo nel video e di avere il suo naso a un centimetro dal mio, è meglio filar via.

18 aprile Le Mont -Saint -Michel

Viaggiando verso le Mont Saint Michel attraversiamo la città di Granville fino ai i bastioni della città alta da dove si può osservare la ripida scogliera e le difese della città. Proseguendo facciamo una sosta in una cantina per comprare qualche bottiglia di sidro bianco e rosé, ed anche qualche bottiglia di Calvados ben invecchiato, poi riprendiamo il viaggio.

Siamo quasi arrivati e, tra la foschia del mar Celtico, intravvediamo l’abazia di Mont Saint Michelle.

Dopo pochi chilometri un grande parcheggio ferma la nostra marcia.

Prima di fermarci decidiamo di cercare un campeggio, ma pare che l’unico accessibile sia nel villaggio turistico di La Caserne, quindi è là che ci dirigiamo.

All’entrata del villaggio una sbarra impedisce l’entrata e un cartello indica di chiamare la reception; premo un pulsante e una voce distorta mi dice qualcosa che non capisco, mentre penso a cosa fare si forma una coda d’auto, così decido d’andarmene e trovare qualcosa d’altro, ma è tutto occupato, non resta che telefonare alla reception del villaggio.

Dopo una lunga attesa risponde un'addetta dicendomi che devo prenotare il posto camper compilando una scheda di richiesta, che mi viene inviata sul telefono.

Compilato e inviato il modello ricevo il codice per aprire la sbarra.

Il villaggio è davvero grande, ci sono alberghi, negozi ed il campeggio con comode piazzole servite di corrente elettrica.

Finito di sistemare il van, abbiamo ancora tutto il tempo per visitare l’isola di Mont Saint Michelle e per raggiungerla possiamo usufruire del servizio navette che, con la bassa marea, percorre la strada nel mar Celtico fino alla porta d’entrata dell’antica cittadina.

Attraversata la porta della fortezza cerco d’immaginare gli stretti e ripidi viottoli liberi da tutto questo viavai di turisti perché solo così riesco a percepire il fascino medievale del luogo, ma l’ingorgo di persone, le luci dei negozi e il vociare nei ristori, mi fa precipitare nel più tipico tour turistico. Mentre usciamo da questo affascinate e affollatissimo borgo, non possiamo trattenerci dalle risa vendendo i gabbiani che s'approfittano delle allegre compagnie lanciandosi in picchiata per rubare dalle mani dei malcapitati omelettes e panini.

 

19 aprile

Oggi possiamo fare tutto con gran calma, dobbiamo percorre duecento chilometri fino al porto di Cherbourg dove ci imbarcheremo alle otto di sera e arriveremo la mattina a Rosslare Harbour in Irlanda.  

 

IRLANDA

20 aprile

Avevamo un programma, ma, messo piede in Irlanda è tutto cambiato, invece di risalire la costa est verso Dublino abbiamo girato il furgone verso sud, perché, guardando la carta geografica le frastagliate penisole della zona di Cork ci hanno irrimediabilmente attratti.

In Irlanda, ovunque tu vada, puoi infilarti in stradine poco più larghe del nostro furgone, che percorrono oscuri boschi attraversati da ruscelli e costellati da grandi pietre dalle forme bizzarre, dove dimorano i folletti.

Mentre osservo con attenzione il fondo bosco tra le foglie e i tronchi d'albero mi sembra di vedere muoversi veloce e circospetto un Leprechaun, con tanto di barba rossa, capello a punta e pipa in bocca, ma non potrei giurarci, forse era solo la mia immaginazione oppure una volpe rossa.

Viaggiare senza meta lungo queste strade, dove la natura predomina tanto da far crescere l’erba anche sull’asfalto, è derealizzante, ma anche se stiamo viaggiando in luoghi irreali, non siamo preoccupati perché nel nostro furgone c’è tutto ciò che ci può servire per affrontare una fiaba.

Mentre il sole tramonta la strada s’inerpica fino a raggiungere un pascolo e poi precipita, con stretti tornanti, raggiungendo a ovest una baia solitaria, protetta da un’alta scogliera.

Si sta facendo sera quando raggiungiamo una cittadina chiamata Casteletown -Bearhaven, che tradotto potrebbe significare il rifugio degli orsi.  

È quasi buio, dovremmo cercare un campeggio, ma se non c’è pazienza ci imbucheremo da qualche parte, intanto posteggiamo vicino a un pub dipinto di verde smeraldo, dove decidiamo di scolarci la prima Guinness. Apriamo la porta di un vivace colore indaco e ci troviamo tra una folla di irlandesi, che bevono pinte di birra, sono le sette di sera e questa è l’ora in cui tutto il paese si ritrova nel pub.

C'è una gran confusione, ma basta uno sguardo e la banconiera mi serve due pinta di scura Guinness, decidiamo di sederci fuori insieme a una compagnia di irlandesi ben disposta a chiacchierare, prontamente arriva anche la cameriera portandoci tartine e patate fritte, così tra una birra e l’altra si è fatto buio e gli avventori un po’ alla volta se ne tornano a casa. Prima che se ne vadano anche i nostri commensali chiediamo se in zona c’è un campeggio: “Non c’è problema tornate indietro per un paio di chilometri e troverete l’indicazione seguite lo sterrato e arriverete al campeggio è sempre aperto”.


CONTINUA