LA PANDEMIA UN’ANNO DOPO

Passando davanti allo specchio,

Ho visto un vecchio,

Che non ero più io.

Marzo 2021 È passato un anno dal quel giorno di febbraio, quando uscendo dall’ufficio ho sentito una voce metallica che avvertiva della pandemia. Ora il virus si sposta tra regioni, città e campagne modificando la sua struttura per superare ogni nostra difesa. Il governo ha diviso l’Italia in zone colorate in funzione del pericolo di contagio, nella zona bianca ci si può muovere e incontrare, ma sempre a viso coperto. Nella zona gialla è possibile spostarsi da un comune all’altro, ma con attenzione e alle ore ventidue inizia il coprifuoco, mentre nella zona rossa tutti devono restare chiusi in casa, salvo qualche eccezione. Le forze dell’ordine prestano molta attenzione ai trasgressori, mentre chiudono un occhio per quella moltitudine di disperati giunta alle nostre coste con barche di fortuna che bivaccano lungo le strade delle città, oppure, in assenza dei proprietari, occupano le abitazioni trasformando interi quartieri in luoghi pericolosi, dove il boss della malavita detta legge. Ogni sera il telegiornale ci mette al corrente di come vanno le cose nel resto del mondo e di certo non è da stare allegri, poi in prima serata ci sono i talk show, che con fiumi di parole e diverse opinioni ci fanno capire che nulla è come sembra e che tutto va peggio di ciò che vorremmo. In questa confusione di notizie e d’idee, c’è chi riceve lo stipendio ogni mese e se ne sta a casa in smart working, protestando per la perduta libertà; mentre chi non ha più un soldo in tasca scende nelle strade a protestare, perché non ne può più di tasse e debiti da pagare senza poter lavorare. Quanto andrà avanti questa brutta faccenda nessuno lo sa e nel frattempo la nostra vita è completamente cambiata. Quello che prima sembrava normale oggi è un faticoso traguardo da raggiungere cercando di distinguere il vero dal falso e c’è sempre chi se ne approfitta invischiandosi in imbrogli di mascherine protettive e vaccini. In un vortice di cambiamenti io continuo a lavorare giorno dopo giorno, sempre la stessa strada, ma molti problemi in più.

Ancora passa l’invero e la primavera, mentre la mia vita cambia e il lavoro si rinnova inseguendo l’evolversi delle norme e della tecnologia, ma a primavera la mia casa è nuovamente immersa nel verde della campagna friulana ed è facile fantasticare di viaggi e nuove avventure. Nasce così la strana idea di andare a Capo Nord d’inverno, con il fedele sidecar, l’avventura sembra ormai certa, parliamo di pneumatici chiodati, sacchi a pelo invernali, di gelo, neve e aurore boreali, riceviamo anche utili notizie da conoscenti che vivono in Norvegia. Questo però non è tempo di sogni e viaggi, perché i giorni si consumano al lavoro e a fine settimana rimango a casa, ho l’erba da tagliare e la siepe da potare. La sera si resta a casa guardando un film alla televisione e il weekend è finito. È a causa di questo ripetersi di abitudini, che il viaggio s’allontana, così il gelo di Capo Nord diventa insopportabile e la distanza impercorribile. Rossana al viaggio su due ruote non vuol più pensare, non gli va di parlare di sacchi a pelo e tende invernali, così, quella sera per debolezza ho detto: “Poteremmo andare a Capo Nord In automobile” e così dicendo sentivo infrangersi l’avventura, mentre Rossana rispondeva: “E’ una splendida notizia, non serviranno tutte quelle costose attrezzature, è molto più comodo”. Il tempo della moto è forse passato perché, come in un Bolero, il ripetersi dei giorni invecchia il corpo e lo spirito, forse dovrei arrendermi e vestire i panni di un nonno raccontando dei viaggi in moto come fossero ricordi d’altri tempi. Anche ferragosto è passato in una afosa calura e mille idee mi passano per la testa: “Potrei comprare un mezzo da attrezzare a camper”, ma poi ricomincia il lavoro e non ci penso più. Svogliatamente cerco su internet un nuovo giocattolo che possa dare un senso ai cambiamenti. È così che, tra costosi camper fatti per attraversare luoghi impervi, quasi per caso compare una mastodontica moto Honda Gold Wing vecchia di trentuno anni, azzurra, super attrezzata e a buon prezzo, l’ideale per lunghi viaggi da farsi in due comodi come in poltrona, forse è il mezzo giusto per rinvigorire il desiderio di viaggiare senza meta. Non è facile far cambiare idea a un motociclista, perché la forza del vento sulla pelle e quel esercizio da equilibrista che trasforma le curve in una danza è parte del viaggio, poi il tempo si ferma e gli anni passati diventano esperienze da rivivere. “Mercoledì diciotto alle dieci e trenta ci troviamo a casa mia, poi andiamo a vedere la Gold Wing”, è così che ci mettiamo d’accordo con Tiberio e Arianna e sembra quasi che l’acquisto sia cosa fatta. Con i nostri sidecar arriviamo in una stretta strada di Sacile, dove ci aspetta il proprietario della moto. La monumentale Gold Wing attrae subito la mia attenzione, allora afferro il manubrio e mi siedo sulla sella in cuoio, che sa d’America e guardando attraverso il parabrezza m’immagino sulla Route 66, tra Chicago e San Francisco mentre la strada scorre veloce sotto le ruote della moto; poi abbasso lo sguardo e la mia attenzione si concentra su una miriade di pulsanti e, come un bambino, vorrei premerli tutti per vedere cosa succede, ma, con il buon senso dell’adulto, preferisco chiedere informazioni sulla loro utilità. Adesso è il momento di mettere in moto il poderoso sei cilindri e provare ad uscire in strada. Sprofondato sulla sella, come un cow boy, trattengo la frizione come fosse la briglia di un imponente stallone, poi la rilascio e i trecentottanta chili di metallo cominciano a muoversi. Uscendo dal portone presto attenzione a non sbagliare traiettoria per non rischiare di rovinare a terra come un pivello, ma quando la poderosa prende velocità si dimostra leggera, amichevole e potente. È ora di pranzo, lasciamo la Gold Wing per una trattoria e la giornata continua girovagando con i nostri sidecar e scambiandoci opinioni sulla convenienza di prendere o lasciare quella vecchia e monumentale moto. È il ventitré agosto quando decidiamo di partire per qualche giorno di vacanza con il sidecar, ma piove a dirotto, guardo verso la montagna e il cielo è nero come la pece, così, in comune accordo, decidiamo di rinviare la partenza a domani sperando in una giornata migliore. In questa giornata di pioggia l’unica navigazione possibile è quella che si fa su internet, così tra le pagine del web cerco racconti di moto viaggiatori che abbiano raggiunto Capo Nord d’inverno.

Sullo schermo del computer, tra immagini di aurore boreali e boschi gelati, compare la luce del faro di una moto che illumina una strada innevata, è il filmato di Wizz che ha raggiunto in moto Capo Nord il trentuno dicembre del 2015. Wizz è tra le mie conoscenze di face book, così tramite chat, ci scambiamo opinioni e consigli e la voglia di partire per un’avventura. Nel frattempo ha smesso di piovere e tra le nuvole appare un po’ di sole, “Dai che domani si parte!”, così dicendo prendo la borsa rossa e l’assicuro sul bagagliaio del sidecar. Ma le situazioni cambiano velocemente e come un improvviso temporale, Rossana incomincia a brontolare, poi, con la faccia scura, mi assale senza che io riesca capire il motivo: “fai solo quello che va bene a te, dovresti aver già capito il motivo, se non l’hai capito vuol dire che pensi solo per te”. Cerco di mantenere la calma e continuo a non capire, fin quando: “Se piove dobbiamo metterci la tuta anti pioggia, poi dobbiamo toglierla quando torna il sole e non abbiamo neppure una meta. Poi dove andremo a finire? Con te di sicuro su passi di montagna impraticabili e non troveremo da dormire, ma io non voglio passare la notte in tenda”, allora ho capito: “Va bene, va bene, andremo in automobile!”, ma il temporale non si è ancora quietato: “No, perché tu non sei contento di andare in automobile, poi mi tieni il muso”, non è il momento di continuare a discutere, per cui, apro il garage tolgo borse e tenda dal sidecar, poi ricordo che Rossana aveva espresso il desiderio di ritornare in Val D’Aosta, allora comincio a cercare un hotel nei pressi del Monte Bianco e dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto alle nove e trenta della sera riesco a prenotare per la notte del ventinove agosto la stanza 31 al rifugio Torino sul Monte Bianco, a oltre tremila metri con vista sul Dente del Gigante. Una vacanza di un giorno però non basta, così la ricerca continua e alle dieci di notte trovo una stanza a Rhemes Saint Georges per tre giorni: “è fatta!”. Per cinque giorni siamo a posto, poi al ritorno vedremo, tanto siamo in automobile, al coperto con aria condizionata, riscaldamento e musica a scelta. Sono passati più di dieci anni dall’ultimo viaggio in auto, ma forse non era proprio una vacanza, bensì un viaggio in Olanda dovuto alla mia passione per le gare cinofile, dove partecipavo con il mio Pastore Tedesco Zeus.

Questa è una vacanza, una nuova vacanza. Viaggerò in autostrada con una precisa meta da raggiungere, senza il fastidio del vento sul casco e il timore della pioggia, potrò rinfrescarmi con l’aria condizionata, ascoltare musica a basso volume, distrarmi un po’ con il cellulare, lo so è vietato, ma è una tipica attrazione dell’automobilista. Potrò anche lamentarmi dei motociclisti che sgusciano tra le code: “Ma chi credono di essere, i più furbi? Dovrebbero sequestrali la moto”.

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Continua con il capitolo: " IL MONTE BIANCO"