Andrea & Rossana
È facile caricare in automobile la borsa rossa, uno zaino e gli scarponi da montagna e il portabagagli sembra ancora vuoto: “Tutto qui?” dico, poi giro la chiave e il motore s’accende.
Pochi chilometri ed eccoci sulla statale che porta all’autostrada, ma tutto è bloccato e la strada trasformata in un parcheggio di camion provenienti da ogni paese. Con il cellulare in mano cerco inutilmente notizie sulla viabilità delle strade, poi da una radio locale arriva la comunicazione che l’autostrada è bloccata a causa di un autocarro che ha ribaltato il suo carico di galline, le quali razzolano libere sulla strada, ma non è finta, perché il camion che seguiva ha sterzato violentemente rovesciando molti sacchi di becchime. Nessuno si è fatto male, però polizia, vigli del fuoco e addetti autostradali, non ce la fanno a catturare centinaia di galline mentre beccottano le granaglie sparse sull’asfalto.
La situazione sembra comica, ma l’autostrada resta chiusa e chi sta in coda non ride. Automobilisti e camionisti scrutano l’orizzonte cercando intravvedere la fine della fila, altri s’incamminano sperando di scoprire la causa dell’intasamento. Intere famiglie aprono il tavolo e le sedie da campeggio improvvisando uno spuntino a bordo strada.
Di certo non posso passare i pochi giorni di vacanza parcheggiato sulla statale, allora, con una manovra azzardata in bilico tra fossi e camion, mi infilo in una strada di campagna e mentre il navigatore satellitare insiste: “Prego fare inversione di marcia”.
Così incomincia il nostro viaggio verso il Monte Bianco.
Raggiunto il Veneto, nei pressi di Treviso, imbocco l’autostrada ma è già mezzogiorno e devo percorre più di cinquecento chilometri.
Dopo qualche ora di viaggio il navigatore ci avvisa: “Mantenere la destra e prendere lo svincolo per Aosta”, finalmente una buona notizia, ancora centoventi chilometri e raggiungeremo la nostra meta, un bed and breakfast nel borgo di Proussaz in val Rhemes.
Saliamo dei ripidi tornanti e raggiungiamo un borgo di poche case in pietra in gran parte disabitate.
Chiediamo dove sia l’unico alloggio del paese a un uomo che sta riponendo gli attrezzi da muratore: “È quello della signora Anna, l’unica casa che ha le luci accese".
Anna ci consegna le chiavi della stanza poi, sistemati i bagagli, risaliamo in auto e scendiamo a valle per cercare una trattoria.
Dopo pochi chilometri troviamo una locanda dove servono piatti tipici valdostani, ma anche qui le regole della pandemia dividono la clientela tra chi munito di green-pass può cenare al caldo e i paria, quelli senza il salvacondotto sanitario che devono mangiare all’aperto sfidando il freddo della notte e trattenedo tovaglia e tovaglioli, che il vento vorrebbe portar via.
27 agosto 2021
Oggi sono necessarie comode scarpe da tracking per passeggiare lungo sentieri di montagna, che dal borgo di Thumel portano alla cascata e poi verso poderose cime. Attraversiamo pascoli e boschi inoltrandoci in questa ampia vallata che termina dove svettano massicce cime coperte da ghiacciai. La curiosità di scoprire cosa c’è oltre una curva, o una ripida salita, mi spinge a proseguire fino a raggiungere un’immaginaria meta. Continuerei a camminare anche con le ginocchia malferme e le gambe stanche, perché vorrei raggiungere la guglia più alta per guardare lontani pascoli e villaggi, respirando l’inebriante aria della vetta, per poi scendere a valle con passi veloci e lunghi salti, come, solo pochi anni fa, avrei potuto fare senza fatica. “Andrea fermiamoci qui, c’è un bel panorama è inutile proseguire, le mie scarpe non vanno bene su queste pietre scivolose”, così dicendo Rossana decide di fermarsi, mentre io proseguo fino alla cascata. Ora è tardi ed è il momento di ritornare al villaggio. Nella locanda a valle i tavoli all’aperto sono ancora riscaldati dall’ultimo sole; con le scarpe slacciate e una birra in mano facciamo progetti per domani: “Potrebbe essere una buona idea, noleggiamo le biciclette elettriche e saliamo fino ai duemila trecento metri del rifugio Benevolo, al confine del massiccio del Gran Paradiso”.
28 agosto 2021
Sono le otto del mattino, seduti al tavolino, ancora umido di rugiada, del bar di Chanavey s’incomincia a intravvedere il sole tra le vette del Granta Parey, a quest’ora il noleggio biciclette è ancora chiuso, per cui decidiamo di entrare nell’ufficio dell’ente del turismo, che ha aperto la serranda, con lo scopo d’acquistare i biglietti per la funivia Sky way del monte Bianco, che domani ci porterà al rifugio Torino. Alle nove del mattino le nostre biciclette da montagna a pedalata assistita sono pronte, le proviamo per qualche minuto, regolando la sella e controllando i freni, poi impariamo ad usare il potenziometro del motore elettrico, che dovrà aiutarci lungo le ripide salite del sentiero che conduce al rifugio Benevolo. Adesso si pedala e il motore elettrico ci fa volare per i primi sei chilometri d’asfalto fino al villaggio di Thumel, mentre dal caseificio in poi la comoda strada diventa uno sterrato ripido e pietroso, che sale tra cespugli e carpini, per poi aprirsi in un’ampia e scoscesa valle, ricca di pascoli e torrenti, che termina ai piedi del ghiacciaio del Granata Parey. Il sentiero s’inerpica sempre di più e anche con il motore elettrico al massimo, bisogna pedalare con forza e il fiatone si fa sentire, mentre il cuore batte forte. Ci fermiamo alla prima fonte, che incontriamo e l’acqua è così buona e fresca, che mi sembra di non aver bevuto prima nulla di meglio; mi siedo su una pietra e sento i muscoli delle gambe rilassarsi, poi è il fischio di una marmotta ad esortarci a ripartire. Il rifugio Benevolo è sopra di noi, solo un chilometro, ma non devo guardare avanti perché il rifugio sembra allontanarsi ad ogni sguardo. Gli occhi fissi sul sentiero ed eco il rifugio, appoggio la bici e muovo i primi passi con le gambe irrigidite dallo sforzo, poi mi siedo al sole con una birra in mano e con la faccia rivolta verso l’abbagliante riflesso del ghiacciaio mi sento sodisfatto . Ancora una birra e poi è tutta discesa, da affrontare senza paura, con destrezza e prudenza regolando la velocità quando le ruote slittano e i freni mordono le ruote per affrontare il tornante, è così che l’adrenalina aumenta e la fatica è dimenticata. Con le mani strette sul manubrio la mia attenzione è rivolta a valle, là dove la salita incominciava ed ora è solo la fine di una corsa a precipizio. All’improvviso il crepitio dei sassi cessa e la bici fila silenziosa senza scossoni sulla strada liscia d’asfalto, che ci riporta a Chanavey.
29 agosto 2021
“Io prendo lo zaino grande, dovrebbe bastare per tutti e due, se tu vuoi prendi quello leggero, il borsone rosso lo lasciamo in auto”. Sono le sette del mattino e abbandoniamo il B&B di Val Rhemes, perché sui i biglietti della sky way c’è scritto che il nostro turno per la salita al rifugio Torino è alle dieci e trenta. Facciamo sosta a Courmayeur e, seduti al tavolo del caffè delle guide, il tempo passa veloce ed è già l’ora di avviarci verso la nuova funivia. Miglia di volte sono salito su cabine appese a un cavo d’acciaio che raggiungono vette bucando il cielo, ma questa è così imponente, che la meta sembra lontana quanto quella di un lungo viaggio. Tremila quattrocento sessantesi metri e sotto di noi il resto del mondo. Attraversiamo la lunga galleria che porta al rifugio Torino ascoltando i battiti del cuore accelerati dall’altitudine e all’uscita chiudiamo gli occhi accecati dalla luce riflessa dal ghiacciaio. Sono passati venti-tre anni dall’ultima volta che mi sono sporto dal parapetto del rifugio per guardare a valle oltre il ghiaccio, ma oggi il panorama è cambiato e da questa parte il ghiaccio si è ritirato lasciando roccia e polvere nera. Sistemati i bagagli nella nostra stanza 31, mi affaccio alla finestra e vedo il mare di ghiaccio che si estende dal dente del gigante fino all’Aiguille du midi. Il sole è ancora alto e la luce penetra nei crepacci colorando le profondità di verde e di blu, osservo con attenzione il ghiacciaio individuando sulla neve una traccia sicura, ben battuta, che porta fino ai piedi del Dente del Gigante. “Sarà una passeggiata di circa mezzora, sono arrivato fin qui e non posso restar ,qui a guardare, un breve passeggiata, su questa luminosa distesa di ghiaccio e neve. La posso fare”, così pensavo mentre appoggiavo il piede sul ghiacciaio del Monte Bianco a tremila cinquecento metri, poi passo dopo passo il fiato si fa corto, mentre il sole batte forte sulla faccia e l’aria fredda m’asciuga le labbra. Mentre cammino sopra un ghiaccio che nasconde i segreti di ere passate, a metà strada mi fermo a guardare e tutto sembra più grande, più lontano, e un senso di solitudine mi pervade. Quando rientro al rifugio il sole tramonta e dalla stanza 31 vedo il ghiacciaio mutare il suo candore in un acceso rosso. Qui si cena presto, ma il cibo è scadente e mal cotto e non merita commenti. Andiamo a letto presto, ma appena chiusa la luce, nel silenzio, sento il cuore battere veloce come se avessi corso, chiedo a Rossana se sta succedendo anche a lei: “Si, non riesco a dormire”; allora respiro profondamente, senza soste allora il cuore rallenta i battiti lasciandomi dormire.
30 agosto 2021
Prima dell’alba ci alziamo dal letto e con il naso attaccato al vetro della finestra aspettiamo il sorgere del sole fin quando con un segno netto divide il cielo, ad est una luce rosa illumina le cime, mentre ad ovest le stelle, ignare del nuovo giorno, ancora brillano nel buio. Il ghiacciaio s’illumina e in lontananza vedo le prime cordate di alpinisti che, partiti nel cuore della notte, s’avviano a scalare la Cresta di Brouillard, o più lontano il Grande Jorasses, o forse l’Aiuguille du midì. Noi, più comodamente, attraversiamo il mare di ghiaccio con la funivia che collega la Punta Helbronner all'Aiguille du Midi a quota tremila ottocento quarantadue metri. L’attraversata è piacevolmente lenta, mentre passiamo sopra profondi crepacci dove il ghiaccio ora è blu elettrico, ora è verde. “Guarda, guarda Rossana! Si stanno arrampicando su quella parete, sono quelli che erano in rifugio con noi”. Con le braccia larghe alla ricerca di un appiglio, legati a corde che penzolano nel vuoto, sono come ragni capaci di risalire scoscese pareti e io vorrei essere con loro per provare il brivido del vuoto sotto i piedi, mentre con pazienza preparo le sicurezze, robuste come la roccia che mi sostiene. Lassù la mente si sgombra e la vita della valle diventa più leggera. È l’ora del ritorno e la nostra auto corre verso Aosta, mentre il Monte Bianco è già alle nostre spalle. Anche se è tardi per pranzare uno spuntino ci vuole, così ci fermiamo in centro città in un fast food cinese a mangiare verdure colorate e strane fritture ripiene. Guardando la città da questo tavolino l’impressione è quella di un mondo indaffarato e triste, lontano dalle splendide vette che la circondano, ma noi abbiamo ancora due giorni per girovagare tra le montagne della Val da Aosta. Non siamo lontani dal Cervino, così con il telefono cellulare contatto il primo hotel che mi capita e senza difficoltà, trovo una stanza libera. Nemmeno un’ora di strada e siamo a Cervinia, davanti all’entrata di un albergo piuttosto vecchio, ma tipicamente montano posto al termine della via centrale con vista sul Cervino, che nasconde la sua cima tra le nuvole. Ad ora di cena si ripropone la solita questione del green-pass, l’albergo ha la cucina chiusa e, con queste strane regole anti pandemia, è possibile mangiare senza lasciapassare solo nell’hotel in cui si è prenotata la stanza. L’addetta Ucraina della reception capisce la situazione e subito ci prepara una tavola nella stanza più bella e antica dell’albergo, poi telefona al ristorante vicino e in pochi minuti, con passo spedito, arriva il cameriere in giacca nera, camicia bianca e farfallino, poi con il tovagliolo ben disteso sul braccio, apre una bottiglia di vino rosso e ci porge il menù della sera.
1° settembre 2021
“Le autostrade sono tutte uguali”, penso, mentre ci allontaniamo dalle vette alpine dell’ovest. Questa mattina la nostra breve vacanza è finita e, tra camion, auto e aree di sosta, il rientro è un’anonima corsa verso casa. “Ecco il ponte sul Tagliamento, siamo in Friuli”, ogni volta ci stupiamo di come all’improvviso l’ambiente cambia; il susseguirsi di case e fabbriche termina qui, quando oltre il ponte ricompaiono alberi, prati e fossi dall’acqua trasparente; siamo a casa. Un giro di chiave, la porta si apre, tutto è come prima, mentre i ghiacciai, i crepacci e l’ebrezza dell’altitudine fanno parte del passato restando impressi nelle fotografie, nei souvenir e nelle storie da raccontare che abbiamo portato con noi.