Andrea & Rossana
Preambolo
Per dovere di cronaca, e poi non ritornerò sull’argomento, devo ammettere che in questo periodo ho avuto una certa tendenza nel procurarmi malanni. Il giorno prima di partire mi sono inavvertitamente appoggiato con la gamba destra allo scarico rovente del sidecar Ural, procurandomi una bella ustione, che, con cerotti e pomate, mi ha accompagnato per tutto il viaggio. In Romania su una ripidissima e dissestata strada di montagna, ho avuto la bella idea di fermarmi sul peggiore dei tornanti e non trovando appoggio per i piedi, la stracarica Varadero si è lentamente distesa a terra come un pachiderma svenuto; questa storia era già stata vissuta e come allora mi sono stirato il muscolo adduttore, mentre Rossana si è sbucciata le ginocchia. In quest’ultimo incidente indossavo la maglietta dell’Ural e per questo mi è venuto il sospetto che il nostro sidecar volesse vendicarsi, perché per la prima volta l’ho lasciato a casa per affrontare il viaggio vacanza con l’Honda Varadero.
Per non tradire il detto: “Non c’è due senza tre” la sera prima di affrontare la Transfaragan (la strada di Top Gear) mi sono strafogato di peperoncino piccante, passando la notte ed anche parte della mattina, sulla tazza del water.
Ora l’argomento è chiuso.
Capitolo primo
L’idea di un viaggio estivo su due ruote, anziché tre, ha cominciato a prendere forma al ritorno dall’Elefantentreffen con Tiberio e Arianna, la necessità di abbandonare il sidecar era dettata dai tempi a disposizione e dalla lunghezza del viaggio di circa cinquemila chilometri da farsi in dodici giorni. Messo da parte, ma mai abbandonato, il sogno della Route 66, ho cominciato a valutare una vacanza in Irlanda.
La notte, davanti alla luce del computer, facevo progetti d’itinerari, soste e pernottamenti calcolando chilometri e budget e quest’ultimo era il vero problema.
Una vocina stridula e fastidiosa, proveniva dalle scartoffie seppellite nella borsa d’ufficio: “Ci devi pagare, ci devi pagare, ci devi pagare….” IRPEF, IRAP, IVA e contributi, si lamentavano temendo che l’entusiasmo motociclistico mi facesse dimenticare la scadenza del mio debito verso la patria per tasse varie, il cui pagamento avrebbe affondando il mio conto in banca non permettendogli più di rivedere la luce.
Scoraggiato e deluso già pensavo all’amaca dietro casa tesa tra l’acero campestre e la quercia e a qualche corsa fino al mare, tra ombrelloni, pedalò e una anonima folla di bagnanti persa nell’aroma delle pomate abbronzanti.
Spento il computer e abbandonati i conti delle vacanze, ho acceso la televisione per l’ultimo film della notte, “Dracula di Bram Stoker” diretto da Francis Ford Coppola e mentre Nosferatu diceva: “Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti”, ecco la nuova idea, un viaggio in Romania!
Capitolo secondo
Il progetto cominciava a prendere forma e attraverso notizie e discussioni apprese tramite internet tracciavo la mappa del viaggio. Mentre calcolavo il budget del viaggio la vocina stridula delle tasse taceva e ciò mi dava speranza nella riuscita del progetto.
“Dunque, Circa quattromila chilometri, che con un consumo di 6 litri per 100 km, ad un costo medio della benzina di 1,3 euro litro, fanno circa trecento euro.
Pernottamenti in camera doppia a trenta euro per notte, altri trecentosessanta euro.
Per i pasti non più di 20 euro per copia al giorno, altri duecentoquaranta euro.
Totale novecento euro, aggiungo spese extra e resto comunque sotto i millecinquecento euro per dodici giorni in due. Splendido, questo si che è il budget giusto !"
Carte alla mano propongo il viaggio a Rossana:
“E’ un viaggio interessante, i luoghi sono sconosciuti e pittoreschi, eviteremo le zone del Mar Nero piuttosto frequentate e più costose, percorreremo la Transfăgărăşan, la strada che Top Gear ha definito tra le più belle al mondo, poi la transalpina lunga quasi duecento chilometri, per non parlare di Dracula e dei suoi castelli. Un viaggio che mette assieme avventura, storia e natura, con un budget più che abbordabile. Il diciannove agosto potrebbe essere la data giusta per partire, prima tappa Budapest, poi entreremo in Romania dal confine di Satu Mare e ci fermeremo a Săpânţa a vedere il cimitero allegro, poi seguiremo la strada ai confini con l’Ucraina attraversando le zone agricole ed arrivando fino in Moldavia a Putna per visitare i monasteri ortodossi. Poi verso Bicaz-Chei e il Lacu Roşu lungo una strada tra gole alte quattrocento metri, per scendere più a sud in Transilvania e far visita a Dracula nella sua città nativa Sighisoara e ai suoi castelli di Bran e di Poenari.
Adesso arriva la parte che più mi piace: l’attraversamento dei Carpazi, prima sulla Transfăgărăşan, una strada che s’inerpica a duemilatrecento metri e poi la Transalpina, da Sebes fino a Urdele Pass, a duemila e centoquarantacinque metri, per ridiscendere verso Timişoara.
Adesso la Romania è finita e per tornare a casa attraverseremo l’Ungheria passando per Szeged dove fanno la migliore Goulash Suppe."
Stavo ordinando mappe e appunti, quando Rossana sparisce e si ripresenta con un vecchio scarpone in mano:
“ Ahi !” penso “non ha gradito, ora me lo tira in testa e fine del programma”.
Invece mi stupisce estraendo un rotolo di euro:
“Questi li ho risparmiati mese per mese, sono milleduecento euro, direi che si può partire”.
E’ fatta, ora messa a punto della moto, preparazione dei bagagli e immediata e-mail a Tiberio e Arianna con programma e documentazione.
Arianna si mette subito in moto e arricchisce il programma con altre visite e dettagli, aggiungendo l’ultima tappa in Ungheria a Hévíz, Un piccolo lago termale nelle vicinanze del Balaton, mentre Tiberio lavora sulla sua imponete GoldWing predisponendo un portapacchi sotto la targa, che permetta maggior carico con pesi più bassi.
Ore nove, del diciannove agosto duemilatredici, Il luogo d’incontro per la partenza è il Villagio del Pescatore (Ribiško Naselje) nelle vicinanze di Duino –Aurisina. Tiberio sta sistemando la borsa impermeabile con lacci e laccioli sul nuovo portapacchi, mentre Arianna sale e scende le scale di casa stipando le cose dimenticate nelle borse della Goldwing. Siamo ben forniti di carte geografiche, satellitari e road book, ora prima tappa Budapest, cinquecento settantasette chilometri, sei ore basteranno, quindi c’è tempo per brioche e cappuccino, poi pieno in Slovenia con super cento ottani per far cantare il motore fino a destinazione.
Capitolo terzo
Budapest ci risucchia nel suo traffico e Tiberio fa il filo a un autobus bianco, che decide di girare a sinistra incurante di chi stava nell’altra corsia. Cerchiamo la pensione che Arianna aveva prenotato e tra sensi unici e rotaie del tram fatichiamo a trovare la destinazione, mentre il GPS con voce calma, ma autoritaria, dice: “Se potete fate inversione”.
La pensione è semplice e casalinga, stipiamo le moto nel garage assieme ad altre con targa Italiana, ma dei proprietari delle moto nessuna traccia, pare che si godano a pieno ritmo la vita notturna di Budapest.
La locandiera ci mostra le camere e promette un’abbondante colazione con uova strapazzate, prosciutto, formaggio, peperoni, sarde affumicate e caffè lungo, da consumarsi alle otto del mattino nel giardino sul retro della pensione.
Calzoni corti, maglietta Ural, sandali e borsa da serbatoio a tracolla, la nostra passeggiata scende lungo il lato sinistro del Danubio nella parte di Pest fino al Ponte delle Catene (Széchenyi Lánchíd). E’ l’ora del tramonto e il palazzo del parlamento è illuminato da una luce calda che si riflette “sulle onde del Danubio” e nella mia mente nascono le note del omonimo valzer del musicista Rumeno Iosif Ivanovici, che predispongono allo spirito romantico e un po’ fatalista necessario per viaggiare nei paesi dell’Est Europa.
Al calar del sole ci rintaniamo nella storica locanda Kèhli, che si trova a Obuda dal 1899, e qui ci lasciamo andare ai piaceri della tavola degustando vini d’annata e piatti tipici ungheresi, accompagnati da musica popolare magiara. Non è ancora ora di abbandonare la notte di Budapest e il taxi, prima di rientrare alla locanda, ci porta ad assaggiare la tradizionale birra ungherese di mastro birraio Anton Dreher.
La promessa della colazione è mantenuta, ma bisogna affrontarla con calma perché non è passato molto tempo dall’ultima birra notturna, poi ci aspetta una lunga cavalcata per raggiungere la Romania, saltare il pranzo potrebbe essere la giusta soluzione per la nostra lenta digestione.
Capitolo quarto
Avvicinandoci alla Romania anche il paesaggio ungherese va sfumando, dagli imponenti e ricchi palazzi asburgici di Budapest a immagini più campestri di villaggi con piccole case colorate e giardini fioriti, dove anziani signori guardano passare, mentre i bambini salutano.
La Romania è un pentolone che bolle, la gente cammina nel mezzo della strada tra carri trainati da cavalli e camion fumosi, vecchie auto e nuovi bolidi fiammanti, mentre zingarelli vendono lamponi e funghi e cani randagi si riunisco in piazza a ululare.
Le casette colorate con i loro giardini fioriti ogni mattina aprono il cancello per far uscire la mucca che, da sola, imbocca la statale per recarsi al pascolo e far ritorno la sera, incontrando greggi di pecore e cavalli, che passeggiano tra lo sfrecciare dei più svariati mezzi di trasporto.
Stau Mare è la città di confine in cui decidiamo di cambiare i nostri Euro in Lei. Il libro di Arianna dice che in Romania, pur non essendoci autostrade, è obbligatoria la “vignette”, quell’adesivo da appiccicare alla moto che certifica l’avvenuto pagamento. Abituati alla severità dei nostri confinanti Austriaci e Sloveni, sempre pronti a infliggere spaventose multe agli Italiani ignari dell’importanza della “vignette”, cerchiamo con caparbietà di pagare il dovuto, ma non sappiamo come fare per trovare quest’appiccicoso lasciapassare, un benzinaio ci consiglia di provare all’ufficio postale. Attraversando il centro della città incontriamo un gran movimento di gente tra i banchi del mercato. C’è molta gioventù ben vestita, dall’aria amichevole e tutti sembrano contenti e indaffarati, anche gli zingari Rom sono molti e si notano subito avvolti nei loro lunghi vestiti dai colori sgargianti, ma se ne stanno per loro conto evitati dal resto della popolazione. Arrivati alla posta ci accodiamo a una lunga e disordinata fila di persone e attendiamo con pazienza che un’anziana signora comprenda le complicazioni imposte dalla burocrazia per pagare la bolletta della luce, mentre un signore abbronzatissimo, con lunghi baffi asburgici alla Francesco Giuseppe, cammina su e giù indossando una t-shirt che porta impressa la scritta: “ Latin lover Italiano”.
E’ il nostro turno, l’impiegata prende i documenti delle moto senza capire cosa vogliamo, poi passa tutto alla sua collega, che in italiano ci dice:
“Le moto possono circolare senza vignette, buon viaggio”.
Ci avviamo verso Săpânţa e scopriamo che le strade del nord della Romania sono fatte di stretti tornanti, buche da caderci dentro, improvvisi sterrati e poi l’asfalto nuovo, che però finisce troppo presto proprio dietro un dosso e nel mentre che due vecchi camion stracarichi di tronchi si sorpassano sfiorando le piccole case colorate, le mucche al pascolo e gli zingarelli che vendono lamponi.
Capitolo quinto
Il Cimitirul Vesel di Săpânţa è un’opera d’arte popolare e, per quanto possa esserlo un cimitero, è allegro. Le lapidi delle tombe sono di legno dipinte di blu intenso e raffiguranti, in stile naif, il ritratto di chi è passato a miglior vita.
Come in Spoon River, le iscrizioni narrano la storia di chi è morto.
Sula prima tomba c’è il ritratto di un signore con cappello e gilet colorato, l’epitaffio racconta:
“Qui giace Dumitru Holdis, vissuto 45 anni, morto di morte forzata nel 1958.
La grappa è un veleno puro
che porta pianto e tormento
anche a me li ha portati
la morte mi ha messo sotto i piedi.
Coloro che amano la buona grappa
come me patiranno
perché io la grappa ho amato
con lei in mano sono morto. “
Lo scultore Ion Patras è riuscito nel suo intento di rappresentare la morte come un passaggio che non merita drammi, ma dalle storie scritte sulle epigrafi è la vita che ne esce malconcia.
Ci infiliamo in una pensione e ceniamo con i sarmale, degli involtini di verza ripieni di carne, ne facciamo una scorpacciata bevendo birra rumena Ursus e poi a dormire, domani ci aspetta una lunga strada.
La mattina, dopo il pranzo–collazione, riprendiamo il nostro viaggio verso i monasteri di Putna nella Moldavia Rumena al confine con l’Ucraina.
La strada per arrivare a Săpânţa ci era sembrata dissestata, ma quella per raggiungere i monasteri è ben peggiore, un trionfo di buche profonde fino ai mozzi delle ruote, uno slalom speciale di duecento chilometri.
Saliamo e scendiamo passi montani e tra paesaggi d’altri tempi incontriamo greggi e pastori che sembrano usciti da un presepe.
Non riusciamo ad arrivare fino a Putna, così ci fermiamo a Voronet per visitare il monastero costruito per ordine di Ștefan Cel Mare detto “l’atleta di Cristo”.
La caratteristica di questo monastero è il colore azzurro, lo “splendido Voronet”, studiato da antichi alchimisti e tuttora misterioso per la sua capacità di cambiare l’intensità del tono a seconda del grado di umidità.
Entrando in paese tra le pubblicità degli Hotel scorgo la: “ Pensione Sami”, mi sembra bella e seguo le indicazioni. Per arrivarci bisogna percorrere una strada sterrata e Rossana di motocross non ne può più, così subisco la sua furia per essermi diretto alla pensione senza prima aver discusso la scelta ed ottenuta l’approvazione all’unanimità, così lei scende dalla moto e io parto in una nuvola di polvere. Per solidarietà femminile anche Arianna percorre la strada a piedi, poi passa un camion incurante di chi passeggia e dopo qualche minuto Arianna e Rossana riappaiono avvolte in un vortice di polvere.
Siamo stanchi, e la decisione di fermarci due notti e visitare con calma i monasteri della zona è accettata da tutti rasserenando gli animi.
Il personale dell’Hotel parla italiano ed anche degli ospiti rumeni parlano l’italiano, pare, che in Romania chiunque abbia tra i venti e i quarant’anni sia stato in Italia per lavoro.
I monasteri richiamano l’arte bizantina con affreschi raffiguranti le storie dei santi, che a me ricordano le strisce dei fumetti. I preti ortodossi portano barbe e capelli lunghi, indossano la rjasa e in testa portano il Kamilavkion, il tutto dona loro l’aspetto di austeri eremiti. I fedeli si prodigano in preghiere e inchini fino a toccare la fronte a terra, baciano le dorate e luccicanti immagini sacre e fanno continui segni della croce, con tre dita unite toccano la fronte, l’ombelico e infine un segno dalla spalla destra alla sinistra.
Di monasteri ne abbiamo visti abbastanza e cominciano ad assomigliarsi tutti, per cui decidiamo di proseguire il viaggio verso le gole di Bicaz. Grandi saluti con il personale dell’Hotel e le ragazze rumene vogliono fare la fotografia sulla Goldwing in pose da biker.
Capitolo sesto
Ormai abbiamo capito che più di duecento chilometri al giorno non si possono fare, anche se il nostro stile di guida comincia ad adeguarsi a quello rumeno continuiamo a stupirci nel vedere grossi camion e suv da fior di quattrini, dare fondo all’acceleratore distruggendo pneumatici e perdendo pezzi vari nelle profonde buche.
La strada si stringe e il sole sparisce, sopra di noi dominano le pareti grigie delle gole di Bicaz, alla nostra destra scorre profondo e impetuoso un torrente.
Nel punto più panoramico una miriade di bancarelle restringe la careggiata creando un ingorgo di turisti, chi si ferma ad acquistare marmellate di montagna, chi invece chiede spazio per proseguire.
Attraversiamo la grande diga e proseguiamo lungo il lago rosso (Lacu Roşu), da cui affiorano dei tronchi pietrificati, la zona è troppo frequentata così decidiamo di continuare. Facciamo poco di più di trenta chilometri nel parco naturale di Cheile Bicazului, lungo la strada che unisce la Moldavia alla Transilvania e troviamo una pensione adagiata in un avvallamento sulla riva del fiume Bicaz, è il luogo ideale per godersi le ultime ore di sole tra queste montagne.
Mi dispiace lasciare questi posti ma Dracula ci aspetta a Sighisoara, per poi terrorizzarci nei suoi castelli di Bran e di Poenar.
Dobbiamo percorrere poco più di centoventi chilometri e la strada, anche se più trafficata, è dritta e senza buche, così arriviamo alla casa natia di Dracula in poco più di un’ ora.
Sistemiamo le moto di fronte a un raffinato hotel, per scrupolo entriamo e ordiniamo da bere, poi chiediamo all’addetto alla reception se possiamo parcheggiare le moto nei posti riservati all’hotel, l’addetto annuisce e ci assicura che nessuno toccherà moto e bagagli.
A Sighisoara si respira aria medioevale, le botteghe artigianali sono come erano nel tardo medioevo, ma ovunque si vendono souvenir Kitsch. Non resisto e mi compro una t-shirt con stampato Il Principe di Valacchia Vlad Dracul con tanto di denti insanguinati, poi preso dall’euforia “draculiana” compro cartoline raffiguranti il ritratto di Dracula, la palla di vetro con il castello di Bran nella neve e un gadget magnetico con l’immagine di Dracula che morde una porno star.
La casa nativa di Vlad Dracul è perfettamente conservata, ma è trasformata in trattoria e per vistarla si pagano cinque lei, nel menù c’è la Ciorba de fasole facuta cu sunca de alimentara, la minestra preferita da Dracula, ma lui di certo non è più qui, dicono che la sua tomba sia a Snagov, su di un’isola vicino a Bucarest dove nel 1935 fu esumato un corpo riccamente vestito, ma senza testa. Il romanzo dello scrittore irlandese Bram Stoker ha fatto la fortuna della Transilvania ma credo sia più facile trovare Dracula in Inghilterra che non nella sua casa.
Il castello di Bran non fa eccezione, non riusciamo a parcheggiare ed è incredibile che non ci sia posto per due moto, decine di corriere ferme sulla strada scaricano i turisti che si mettono in pellegrinaggio lungo la salita che porta al castello. Uno sguardo da lontano e un paio di fotografie è il massimo che possiamo fare. Riprendiamo la strada e decidiamo che la nostra prossima meta sarà Sinaia, la località montana più in voga dei Carpazzi. Alloggiamo in un super quattro stelle, fornito di piscina, sauna e idromassaggio, così ci togliamo la polvere del viaggio. Serviti come nababbi spendiamo sessanta euro a stanza tutto compreso.
La mattina visitiamo il castello di Peles dall’architettura neo rinascimentale tedesca, costruito nel 1883 da re Carlo primo di Romania.
Ora il viaggio ci porterà su una delle strade più belle del mondo la Transfăgărăşan, così cerchiamo di avvicinarci il più possibile all’inizio del percorso, ma più avanziamo e meno pensioni vediamo. Cerco un cartello con la scritta: “cazare” che tradotto dal rumeno significa alloggio. Scorgo una freccia che invita a salire un’accidentata stradina, i miei compagni di viaggio scuotono la testa, la Goldwing non ama il motocross e, come già detto, neppure Rossana lo ama, per cui mi avvio da solo in perlustrazione. Il sentiero si trasforma in un colatoio. E’ necessario mantenere la giusta velocità perché la Varadero si comporti bene anche a pieno carico, ma proprio quando la salita si fa più dura un’auto fuoristrada rischia di farmi fermare e non è certo quello che devo fare, lo capisce anche il pilota e mi da strada.
Oltrepasso l’ultima salita, arrivo al rifugio dove mi accoglie una ragazzina che m’invita a prenotare le stanze subito perché stanno per arrivare molti turisti. Mentre prendo accordi, giunge il fuoristrada che avevo sorpassato, il pilota si avvicina e parlando in italiano, si complimenta per la moto e mi dice che quando lavorava a Torino ne aveva una uguale, poi mi spiega, che pernottando qui, con un po’ di fortuna, prima del sorgere del sole, potrò vedere gli orsi. Ci penso un po’, ma ritengo che la Goldwing rischierebbe troppo sull’ultima parte del sentiero, quindi scendo sulla strada principale e, sconsigliata l’avventura, riprendiamo il viaggio alla ricerca di una locanda.
Siamo vicini all’attacco della Transfăgărăşan e troviamo un albergo, dove ritemprarci. La mattina incontriamo un gruppo di Ungheresi che scaricano dal carrello delle moto da cross, infilano un sentiero e spariscono nel bosco.
La giornata non è delle migliori, il cielo è scuro e minaccia pioggia, di certo questo non ci scoraggia e partiamo seguendo la strada in un fitto bosco lungo il fiume Argea. Incontriamo il villaggio di Arefu dominato dalla Fortezza di Poenari, la residenza di Vlad III Dracula, poi il bosco lascia il posto ad ampi pascoli. Il cielo grigio non esalta i colori, ma ci risparmia la pioggia. La strada è larga e con ampi tornanti assomiglia al nostro Stelvio, ma qualche buca sul manto ci ricorda dove siamo. Sbuchiamo dall’ultima stretta galleria e ci troviamo sul passo a duemila e trentaquattro metri d’altitudine nel mezzo di bancarelle, auto, pedoni, pecore e pastori che indossano una gabbana di pelliccia. Saliamo a piedi fino al punto in cui si può ammirare il lago glaciale di Balea, e da cui si vede la strada che scende verso nord nella lunga e ampia valle di Olt fino a Cârţişoara.
La discesa è un volo con lo sguardo a valle, tra cascate, pascoli e greggi.
Capitolo sette
Giunti al piano proseguiamo fino a Horezu dove le artistiche ceramiche ci invogliano agli acquisti, così nel baule della moto facciamo posto a dei piatti fatti a mano con il tipico disegno del gallo, poi iniziamo la consueta ricerca di un letto per la notte. Mentre attendo seduto sulla moto che Arianna chieda informazioni per pernottare, un Rumeno si sbraccia dal finestrino di una Mercedes, ha capito che siamo alla ricerca di una pensione e c’invita a seguirlo e noi lo seguiamo. La casa è adattata a locanda, le camere doppie sono spaziose e pulite e tutte con il bagno, ci accordiamo per quindici euro a stanza e sette euro a testa per la cena. Mi stendo sul letto e chiudo gli occhi per rivedere la discesa della Transfăgărăşan, ma al naso mi arriva il profumo di griglia, riapro gli occhi mi affaccio alla finestra e vedo la tavola imbandita e il gestore indaffarato a cuocere, si annuncia una bella serata.
Il giorno dopo il sole seguito da un correre di nuvole ci accompagna verso la Transalpina. La strada è quasi tutta asfaltata, ma è stretta, con tornanti molto ripidi, con poche piazzole e senza barriere, l’incontro con ingombranti vetture rende la guida più faticosa e qui ho capito che l’eccesso di prudenza non paga, ci vuole più grinta.
Il panorama è immenso e pastori vestiti di pelli camminano appoggiandosi a un lungo bastone di legno ritorto conducendo il gregge come in un presepe vivente, ma qui non c’è scena, questa è storia di tutti i giorni.
Raggiungiamo la massima altitudine di 2145 metri sul Passo Urdele nei Monti Parang, purtroppo ci avvolge una fitta nebbia nascondendoci la grandezza del panorama e rendendo lo sterrato più insidioso. Scendiamo verso Urdele, la nebbia ci abbandona, ma il cielo resta grigio e di quando in quando ci dispensa qualche goccia di pioggia.
Domani l’ultima tappa è Timişoara la citta più Europea della Romania e visitarla mi incuriosisce, perché negli anni ottanta provai a raggiungere la Transilvania, ma il regime comunista guidato da Ceauşescu mi fermò a Timişoara. Da allora mi era rimasto il ricordo del paese più grigio e triste che avessi mai visto, una prigione dove regnava la miseria, dove una madre mi chiese di portare via il suo bambino, dove parlare con la gente del posto era un reato e per questo mi trovai “spalle al muro e colpo in canna”. Oggi Timişoara è una città viva, non riconoscevo più nulla da allora.
Anche solo raccontando mi dispiace lasciare la Romania, perché mi ha regalato un viaggio avventuroso e ricco di contraddizioni quanto di bellezze naturali e ospitalità.
Attraversiamo il confine tra Cenad e Kiszombor in Ungheria, per proseguire verso Szeged dove ci aspetta la miglior goulash soupe e musica magiara.
Il violinista si avvicina al nostro tavolo ed intona, “Violino zigano” e poi “O sole mio”, ha ben capito che siamo italiani e spera che ci esibiamo nel bel canto. Poi chiede se abbiamo delle preferenze e in questa atmosfera romantica tra le luci sul fiume Tisza, meglio si addice la Danza ungherese n° 1 di Joannes Brahms. Alla richiesta si fa serio e poi con la musica ci trasporta nella nostalgia romantica della lontananza di un mondo remoto che non c’è più.
Scegliamo strade di campagna per attraversare la Puszta Ungherese e raggiungere Hévíz, un piccolo paese con un lago termale, dove molti anziani s’immergono tra le ninfee nella speranza di uscirne più forti e come nel film “Cocoon” assorbono l’energia dell’universo.
Ci siamo attardati galleggiando nel tepore del lago, ora non resta che imboccare l’autostrada prima di sera e con un’accelerata ritornare a casa portandoci addosso l’odore dello zolfo che il lago ci ha lasciato.
Andrea e Rossana
Marco Pezzotti
02.12.2018 17:40
Tanta tanta ammirazione x i bellissimi e x me coraggiosi viaggi da voi effettuati.Tantissimi complimenti anche x la descrizione che fa sembrare anche a chi è a casa di esser in viaggio con voi .BRAVI